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In Francia, si tratta di non meno di 6 milioni di persone. Dire che l’accessibilità è una questione sociale non è quindi un eufemismo.
Eppure, nel 2016 uno studio rivelava che la maggior parte dei siti web delle aziende francesi teneva in scarsa considerazione o non teneva affatto conto delle realtà degli internauti con disabilità.
Ignorare le difficoltà di accessibilità di queste persone significa, tuttavia, anche spazzare via in un attimo tutti i contesti di vita in cui le capacità delle persone normodotate sono messe alla prova: rispondere ad una telefonata con un bambino in braccio, usare servizi che esigono il riconoscimento vocale con estinzione di voce, leggere un messaggio in pieno sole…
È proprio qui che entra in gioco l’inclusive design.
Il suo obiettivo: tener conto della molteplicità dei profili e dei contesti di utilizzo per mettere la tecnologia al servizio di tutti.
L’inclusive design (o design inclusivo o ancora design universale) è una metodologia di creazione che si basa sulla considerazione della diversità umana.
Esso consente di sviluppare prodotti e servizi digitali aperti a tutti e che non esigono adattamento da parte degli utenti.
Essere inclusivi nella propria progettazione significa comprendere come e perché diverse categorie di popolazioni sono escluse da determinate attività elementari della società.
L’accessibilità descrive gli elementi che consentono ad un sito, un’applicazione o a qualsiasi esperienza di essere accessibile alla maggior parte di persone.
Essa si riferisce anche all’attività professionale che ne deriva.
La differenza principale sta nel fatto che l’accessibilità è un attributo, una qualità, mentre l’inclusive design è un metodo, un modo di procedere.
Idealmente, design inclusivo e accessibilità dovrebbero andare di pari passo per proporre esperienze che non solo rispondano agli standard esistenti, ma siano soprattutto utilizzabili da tutte e da tutti, indipendentemente dal sesso, dall’età, dall’origine, dal livello di educazione…
La legge dell’11 febbraio 2005 per la parità di diritti e opportunità propone una definizione precisa della disabilità: una “limitazione dell’attività o una restrizione della partecipazione alla vita della società subìta nel proprio ambiente da una persona a causa di un’alterazione sostanziale, duratura o definitiva di una o più funzioni fisiche, sensoriali, mentali, cognitive o psichiche, di una disabilità multipla o un di disturbo della salute invalidante”.
Se questa definizione costituisce una base interessante, è opportuno ricordare più precisamente le diverse forme che la disabilità può assumere in quanto il perimetro è molto ampio.
Infatti, non esiste una sola disabilità ma più disabilità. Il Comité national Coordination Action Handicap (CCAH) elenca i diversi tipi di disabilità riconosciuti fino ad oggi.
Conoscerli è assolutamente essenziale per considerare adeguatamente l’accessibilità e l’inclusività di un’esperienza.
L’OMS descrive la disabilità mentale come “un arresto dello sviluppo mentale o uno sviluppo mentale incompleto, caratterizzato da un’insufficienza delle facoltà e del livello globale di intelligenza, in particolare a livello delle funzioni cognitive, del linguaggio, della motricità e delle performance sociali”.
Riguarda l’1-3% della popolazione mondiale. La trisomia 21 ne è la forma più conosciuta.
La disabilità mentale deve essere distinta dalla disabilità psichica che si verifica più frequentemente in età adulta, sotto forma ad esempio di bipolarismo, schizofrenia o ancora DOC (disturbi ossessivi compulsivi).
Indica i disturbi che colpiscono tutta o parte della motricità di una persona, ne sono affetti circa 850.000 francesi.
Si ritiene che una persona su due con disabilità motoria abbia bisogno di un aiuto esterno per eseguire le attività quotidiane essenziali.
Per disabilità uditiva si intende una perdita parziale o totale dell’udito e colpisce almeno 4 milioni francesi.
La disabilità visiva corrisponde ad una perdita parziale o totale della vista. Circa 1,7 milioni di francesi sono ipovedenti.
Si ritiene che oggi da 60.000 a 120.000 francesi siano colpiti da disturbi dello spettro acustico.
Questi disturbi sono molto vari e la diagnosi talvolta è molto complessa, il che spiega la mancanza di precisione nelle stime.
La disabilità, tuttavia, include anche i traumi cranici, le malattie degenerative, i disturbi dell’apprendimento, la pluridisabilità o ancora la polidisabilità.
Per saperne di più vi invitiamo caldamente a consultare l’articolo dettagliato e illuminante del CCAH il cui collegamento è riportato sopra.
Sapevate che i siti dei servizi pubblici e istituzionali ma anche canadesi, ad esempio, hanno l’obbligo legale di essere accessibili?
In Francia, la legge obbliga alcuni servizi di comunicazione online a rispettare le normative in materia di accessibilità. È il caso ad esempio:
Le entità interessate devono quindi assicurarsi che i loro contenuti siano:
Partire dalle proprie capacità e mezzi per progettare servizi, prodotti o esperienze significa escludere de facto una parte della popolazione in funzione del suo sesso, della sua età, della sua classe sociale, della sua lingua, delle sue conoscenze tecnologiche o ancora della sua motricità.
È quindi urgente non solo rendere il web uno spazio accessibile alle persone con disabilità ma anche, e più globalmente, a tutte le persone che non ci somigliano.
Si è già parlato molto della sociologia degli sviluppatori nord-americani, ma l’inclusività del web si presenta una delle sfide principali del digitale per il decennio.
Pensare un design in modo inclusivo significa riconoscere che esistono delle disabilità temporanee che colpiscono tutti noi: quando indossi un gesso, quando desideri ordinare un pasto all’estero o ancora fare una telefonata in un luogo rumoroso.
Un ottimo esempio di design inclusivo è la funzionalità video della app mobile di Facebook.
È stato studiando il comportamento di tutti gli utenti che l’azienda Menlo Park ha constatato che l’applicazione era per lo più usata in un contesto pubblico (trasporti pubblici, sale d’attesa…).
Per ovviare a questo problema di accessibilità acustica, Facebook ha scelto di favorire la lettura senza audio e di attivare in modo predefinito i sottotitoli video sulla sua app.
Come sei posizionato rispetto ai tuoi concorrenti?
Tim Berners-Lee sognava un Web “al servizio di tutta l’umanità”. Ma i grandi attori del digitale sembrano aver imboccato un sentiero completamente diverso…
La dimostrazione di ciò è che, trent’anni dopo, è sempre necessario ricordare perché l’inclusività è auspicabile per gli internauti.
Pensare e creare in modo inclusivo può sembrare vincolante eppure i frutti di questa riflessione non vanno soltanto a beneficio delle persone con disabilità.
Sapevate che la possibilità di aumentare il contrasto di uno schermo è dovuta essenzialmente alla necessità di soddisfare un’esigenza delle persone ipovedenti?
Analogamente, lo scopo principale dei telecomandi, delle porte ad apertura automatica o degli audiolibri era quello di aiutare le persone con disabilità nella loro vita quotidiana.
Più di un miliardo di persone in tutto il mondo è in qualche modo affetta da disabilità.
Integrare il design inclusivo nella propria strategia UX non può che rendere i vostri prodotti e servizi accessibili a un pubblico più vasto e, di conseguenza, avere una ripercussione sul vostro fatturato.
Potremmo mettere la mano sul fuoco sul fatto che i vostri clienti attuali non rifiuteranno un’interfaccia più semplice e più intuitiva.
In teoria, progettare siti web o applicazioni integrando dei vincoli può apparire una sfida complessa da cogliere per gli sviluppatori.
In pratica, ciò li porta per lo più a dimostrare maggior creatività e, alla fine, a progettare prodotti migliori.
E come non citare i guadagni di performance inerenti all’inclusive design con siti e applicazioni al contempo più rapidi e più comprensibili?
Ci è sembrato importante sfatare due preconcetti che riaffiorano non appena si parla di accessibilità.
Rendere un sito accessibile rappresenta effettivamente un costo nell’istante T, che in generale è modesto.
Parlare dei costi significa anche ignorare i guadagni a lungo termine (ampliamento della clientela, aumento delle quote di mercato, aumento della notorietà…).
Probabilmente il preconcetto più diffuso e il più lontano dalla realtà.
Infatti, da diversi anni i web designer e gli sviluppatori hanno tutti gli strumenti tecnologici in mano per costruire esperienze al contempo accessibili e attraenti.
L’esempio più emblematico è probabilmente quello del sito di una piccola azienda di Cupertino alla quale promettiamo un futuro radioso.
Se siete arrivati fino a qui, significa che desiderate cambiare le cose.
Per semplificarvi subito il compito e per i vostri progetti futuri, ecco una regola da tenere sempre presente: sviluppate sempre i vostri prodotti iniziando dal particolare per andare al generale. Sempre!
Troppi siti o applicazioni molto popolari sono ancora inaccessibili agli ipovedenti o alle persone che non possono usare le funzioni tattili o il mouse.
Ecco perché assicurarsi che il proprio progetto funzioni in primo luogo perfettamente con la tastiera rappresenta un’ottima pratica.
Esistono molteplici modi per ottimizzare un sito in modo da renderlo più inclusivo. L’Home Office Digital nel Regno Unito ha preparato delle schede riassuntive su questo argomento, per profilo o per tipi di disabilità, accessibili gratuitamente per aiutarvi ad ottimizzare il vostro sito in questo senso.
Ora che conoscete a fondo la nozione di design inclusivo, vediamo subito come progettare un sito utilizzabile e sicuro per tutti in cinque grandi tappe.
Il design è probabilmente la leva più evidente e usata più correntemente per (tentare di) rendere accessibili il proprio sito o la propria applicazione.
Torniamo quindi sulle basi della struttura, dei colori e delle forme.
Avremmo potuto scegliere di inserire i moduli nella prima tappa ma la loro progettazione è ancora così bistrattata che potrebbero essere oggetto di un articolo dedicato.
Al di là della dimensione minima da rispettare per i campi e dell’autocompletamento da attuare, occorre porsi delle domande sulle informazioni raccolte in un modulo.
Questo è tanto più vero quando si desidera ottenere informazioni sensibili come il nome, il sesso, il numero di telefono o addirittura l’età.
A questo stadio, la responsabilità dell’UX Designer sta nel decidere la legittimità delle domande poste, il modo di formularle e le proposte che gli utenti potranno scegliere per rispondere.
L’esempio del sesso è eloquente. Quando vuoi ottenere questa informazione, vuoi conoscere il sesso o il genere della persona? O forse anche qualcos’altro?
Sareste arrivati fino a qui se questo articolo fosse stato costituito da un blocco unico senza immagini?
Abbiamo già avuto l’occasione di parlare di UX Writing in modo approfondito, ecco tuttavia alcune buone pratiche essenziali da tenere presente per qualsiasi contenuto inclusivo.
Che si tratti di video o di podcast, i media rappresentano ottimi mezzi di comunicazione e di illustrazione.
Tuttavia, non vi insegneremo nulla di nuovo dicendovi che il loro formato li rende, in sostanza, impossibili da consultare per una parte della popolazione.
Esistono, tuttavia, delle soluzioni alternative per rimuovere queste barriere:
Visto che parliamo di audio, soffermiamoci un istante sugli assistenti vocali.
Avete notato che propongono di default una voce femminile, e questo nella maggior parte delle lingue?
Non è certamente un caso. Viviamo in una società in cui le donne sono percepite come assistenti più docili, seducenti e rassicuranti degli uomini.
La cultura e i preconcetti hanno un impatto sull’UX. E anche se è difficile disfarsene completamente, spetta agli UX Designer scegliere se contribuire o meno agli stereotipi.
La quinta e ultima tappa è anche una delle più fondamentali poiché si tratta della navigazione.
Il vostro sito potrà anche avere il design più moderno e creativo che ci sia, ma una parte dei vostri sforzi sarà annullata se i visitatori non saranno in grado di utilizzarlo.
Ecco i nostri consigli per una navigazione pensata per tutti.
Pensare inclusivo significa innanzitutto cambiare radicalmente la percezione del mondo che ci circonda e mettere alla prova le proprie convinzioni.
Ma se ci state ancora leggendo, probabilmente avete già fatto la parte più difficile…
E, come dicono così bene i nostri amici anglofoni: “it is the right thing to do”. 😉
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